martedì 23 gennaio 2018

Bibliotecari che odiano i bibliotecari

A volte mi chiedo se i peggiori nemici della nostra professione, quella dei bibliotecari intendo, non siano proprio i bibliotecari.
Vero è che aver chiari i confini, gli scopi, le caratteristiche del proprio ruolo è sempre più difficile. I criteri di accesso alla professione sono quantomai vari ed eventuali: in un concorso possono chiederti di catalogare in aramaico e quello del comune vicino può essere basato esclusivamente sulla conoscenza del diritto amministrativo, qualche chilometro più in la possono farti un simpatico colloquio su quelle famose "competenze trasversali" con le quali si giustificano le peggio nefandezze. Insomma non è raro - cosa sto dicendo? è prassi consolidata - che nelle biblioteche lavorino fianco a fianco persone che hanno una formazione specifica (e anche su quale formazione debba avere un bibliotecario il dibattito langue da tempo) ed altre che son state cuochi, giardinieri, bambinaie, infermieri, che han patteggiato condanne, e che si son trovate parcheggiate in biblioteca. Poi ci sarebbe la questione delle formazione del personale, e in particolare di questo personale "variegato" e anche quella della esternalizzazione dei servizi, ma insomma non divaghiamo.
Insomma mi piacerebbe pensare che, almeno per bieco spirito corporativistico, possa essere patrimonio comune il semplice assunto che non è data biblioteca senza bibliotecari.
E invece sono costretta a ricredermi tutte le volte che qualche collega condivide, con toni commossi o entusiastici, sui social, o mi segnala personalmente, la nascita di una nuova "biblioteca".
In genere quattro scaffali sghembi con una manciata di libri raccattati in giro e abbandonati a se stessi. Nell'angolo più buio di un centro commerciale, nei tronchi d'albero, nelle cabine del telefono, nel sottoscala di un condominio, nella sala di attesa di un servizio di chemioterapia.
L'ultima arrivata è la storia dei netturbini di Ankara che hanno salvato una gran quantità di libri gettati nella spazzatura, libri che hanno costituito il nucleo centrale di una nuova "biblioteca" e ai quali se ne sono aggiunti altri grazie ai residenti del luogo che hanno pensato bene di portarvi i propri volumi altrimenti destinati ad essere cestinati.
Avrei voluto sentirsi levare qualche voce di indignazione verso questa ennesima storiella zuccherosa, verso questa continua retorica delle iniziative "dal basso" che, dovrebbero supplire alle mancanze della politica e che, mediamente, durano lo spazio di un servizio giornalistico.
Combattiamo una battaglia quotidiana per far capire a chi ci vuol donare i propri libri, a chi ci chiama convinto che gli vuoteremo la cantina, a chi pensa faremo spazi nei nostri scaffali per  metri di enciclopedie degli anni '80, che la raccolta di una biblioteca non è un'accozzaglia di volumi messi insieme a caso, ma un insieme progettato, ragionato e continuamente sottoposto a revisioni e verifiche.
Combattiamo con finanziamenti sempre più risicati cercando di bilanciare i nuovi acquisti con la sostituzione di copie rotte, usurate, deteriorate perché un'esperienza positiva di lettura passa anche attraverso l'aver in mano un libro in buone condizioni.
Se dobbiamo far sentire la nostra voce, e credo proprio che dovremmo farlo, smettiamo di guardare con occhio commosso a queste iniziative, magari anche meritorie ma che non credo abbiamo contribuito più di tanto alla diffusione della lettura nel nostro paese, (i dati parlano chiaro) e cominciamo a chiedere politiche serie, articolate, continuative e finanziate di diffusione della lettura.
Un buon punto di partenza per cominciare a ragionare è questo pezzo di Nicola Lagioia LA BATTAGLIA (POLITICA) PER LA LETTURA E LE PROSSIME ELEZIONI
Per il libro sono almeno cinque i punti chiave da cui iniziare la partita: scuole, librerie, biblioteche, comparto editoriale, promozione, scrive Lagioia. O pensiamo veramente che bastino qualche libro raccattato fra la spazzatura e quattro scaffali sghembi per combattere "la battaglia per la lettura"?

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