venerdì 11 dicembre 2015

Tutto quello che so sul sesso l'ho imparato in biblioteca

Troppo timida per chiedere ai miei,  troppo diffidente per fidarmi di quelle strane e incredibili storie che raccontavano bambini più addentro nei fatti della vita, quando volevo farmi un'idea precisa delle cose andavo alla biblioteca del posto in cui sono cresciuta.
Abitavo alla Cava, quartiere popolare separato dal centro di Forlì da due chilometri di campagna lungo la via Emilia e dal ponte di Schiavonia. Distanza piccola, forse più psicologica che reale, ma chi abita alla Cava ha sempre considerato il posto come  un'entità a parte, un nucleo separato e in qualche modo autosufficiente (vado a Forlì si diceva per andare in piazza Saffi e si compulsava l'orario dell'autobus, attenti a non perdere la corsa)
Insomma era quella, la biblioteca del quartiere, la mia biblioteca, l'unica di cui fossi a conoscenza, il posto in cui trovavo le risposte alle me domande.
Così la mia educazione sessuale è cominciata sfogliando il bellissimo Come nascono i bambini di Andrew Andry e Steven Schepp con le illustrazioni di Blake Hamilton. Libro che spiegava bene tutte quelle cose delle api e dei fiori e del polline ma che, invece di fermarsi lì, continuava a raccontare con i termini esatti, scientifici, con le parole giuste, con illustrazioni precise ma misurate come si concepiscono e come nascono i bambini.
In biblioteca, grazie ad una volenterosa bibliotecaria autodidatta, tanto incompetente in materia di libri quanto accogliente - vieni, entra - mi diceva - scegli quello che vuoi, puoi prendere quello che vuoi - sono nate e cresciute le mie letture incongrue, bulimiche, disordinatissime. Le avventure di Nancy Drew, i grandi classici, i libri assolutamente inadatti alla mia età.
Se ho cominciato ad amare i libri, la lettura lo devo (e lo dico senza nessuna retorica) anche alla
biblioteca della Cava che, qualche mese fa, è stata improvvisamente chiusa. Temporaneamente, si dice, si spera. La scuola nella quale era ospitata ha reclamato per sé quegli spazi e pare se ne stiano cercando dei nuovi.
E anche se si dice che le distanze si sono accorciate, anche se la campagna ai lati della via Emilia è stata sostituita da brandelli di città diffusa, la Cava continua ad essere (e a considerarsi) separata da Forlì. Da due chilometri e da un ponte. E molta della gente che vi abita è invecchiata (come sempre accade nella zone di nuovo inurbamento, dove tutti attraversano insieme le stesse fasi della vita) e vi sono nuovi bambini. E vecchi e bambini potrebbero non aver voglia o tempo o, più semplicemente, la possibilità di percorrere due chilometri e di attraversare un ponte e fare altra strada per raggiungere la biblioteca centrale. Alla Cava sarebbe più semplice, no?

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