sabato 14 luglio 2012

Candida come una rosa

La casa editrice Einaudi per pubblicizzare il libro La rosa candida anziché scomodare i critici si affida al commento di un anonima lettrice di Amazon
"Guardo solo film piú grandi della vita". Questo è un libro piú grande della vita. Inizi a leggere e ti ritrovi in uno stato di grazia. L'opposto dei libri che vuoi finire in fretta, perché noiosi o pieni di suspense: qui assapori ogni frase. Una delizia
 E' la fine della critica, intesa come autorevolezza e prestigio, sostiene Filippo La Porta sul Corriere della Sera, e l'inizio della democrazia.
E se invece fosse solo l'inizio delle ferie? In ferie il critico, scopiazziamo da Amazon  che fa tanto social, e in ferie anche il traduttore, usiamo Google translate. Ed ecco un libro addirittura più grande della vita, traduzione letterale (meccanicamente letterale) e abbastanza incomprensibile di larger (o bigger) than life che sarebbe più opportuno tradurre con straordinario, indimenticabile
Speriamo non abbiano utilizzato Google anche per la traduzione del libro!

giovedì 12 luglio 2012

Guilty pleasures without guilt


Che non è l’ultimo capitolo della saga zozzona con le sfumature 

 

Sarà che in biblioteca cominciano a chiedere le letture leggere da ombrellone, sara che un po' dappertutto ci si chiede se la trilogia della 50 sfumature sia  bella o sia una bufala pazzesca, ma la questione della qualità letteraria continua ad affascinarmi.
In un post precedente (Bello come BradPitt, alla sagra di Camandona) raccontavo come, da quanto stavo leggendo, mi sembrasse difficile occuparsi di qualità senza cadere in snobismi e separare la critica letteraria dal giudizio sui lettori. Il collega Francesco Mazzetta mi faceva notare che “quello che è giusto fare sempre è giudicare le letture, cioè i libri, non i lettori”, ma qui cominciano i problemi dal momento che non ho trovato grandi elaborazioni teoriche su cosa sia la qualità letteraria, dove alberghi e come si riconosca.
Se di Alte tirature, il volume di Spinazzola, si è già detto, bisogna comunque aggiungere che né la classifica Pordenonelegge-Dedalus, che da anni stila una classifica di libri di qualità, né il volume L’indice dei libri dell’anno.La classifica di qualità dei libri del 2011, entrano nel vivo delle proprie motivazioni, rendendo chiari ed espliciti i criteri delle scelte, ma si appellano ad una generica nozione di qualità.

Ho trovato una situazione un po’ diversa, un tentativo di analizzare più da vicino e più a fondo la situazione, insieme ad una profonda consapevolezza delle ragioni di chi legge, in un dibattito che si è sviluppato negli ultimi mesi negli Stati Uniti e che prende il via da un articolo pubblicato sul New Yorker:  Easy wirters. Guilty pleasure without guilt di Arthur Krystal.
Krystal pone alla base del suo ragionamento il fatto che la distinzione fra literary fiction e genre fiction, pur continuando a sussistere, (alla prima andrebbero riconosciuti meriti letterari mentre la seconda avrebbe un ruolo di fuga dalla realtà, di evasione) stia diventando sempre meno chiara e che scrittori che un tempo venivano considerati “guilty pleasures”, cioè quelle letture che ci piacciono ma di cui un po' ci vergognamo, abbiano acquisito col tempo un status letterario.
Lev Grossman, in una interessante e puntuale risposta all'articolo apparso sul New Yorker,  (Literary Revolution in the Supermarket Isle) accoglie l'idea di diversi livelli qualitativi della narrativa che tuttavia non vanno legati a singoli specifici generi,(perché qui - dice lui - le sfumature di grigio sono molteplici)  ma si discosta completamente dalle opinioni di Krystal quando questi afferma che siamo ancora giudicati in base ai libri che leggiamo e che forse è giusto che sia così.
Per Grossman i romanzi non sono o non dovrebbero essere status symbol. Probabilmente questo atteggiamento nei confronti della lettura è legato ad una concezione puritana della vita: se non è difficile è peccato, o all'idea che qualsiasi cosa sia contaminata col commercio, come la narrativa di genere, sia automaticamente squalificato e privato di valore estetico
Infine, completamente dalla parte del lettore Gary Gutting che, in Reading and guilty pleasure, sposta l'attenzione dall'idea che vi siano libri e generi oggettivamente inferiori all'importanza delle preferenze personali del lettore.
Secondo lui molte delle discussioni sui guilty pleasure partono dal presupposto errato che la qualità della narrativa “seria” sia più elevata ma meno piacevole di forme di narrativa “inferiori”
Ma cos'è che consideriamo piacevole nella lettura? Per Krystal, come abbiamo visto, la narrativa di genere ci aiuta ad evadere dai problemi della vita quotidiana in un mondo alternativo, più eccitante, più attraente. Ma Jane Austen o Thomas Mann non ci possono forse aiutare ad alleviare le nostre preoccupazioni quotidiane tanto quanto Ken Follet o John Grisham?
Apparentemente più plausibile è l'idea che la narrativa “seria” sia meno piacevole perché richiede un maggior sforzo intellettuale per comprenderne la complessità. Ma, sostiene Gutting, chi lo dice che ciò che è difficile da leggere non sia piacevole? C'è un atteggiamento mentale completamente diverso a seconda che ci riferisca ad attività mentali o fisiche. Maratone, scalate, tennis o basket a livello competitivo sono attività decisamente impegnative ma anche estremamente soddisfacenti.
Perché non deve esserlo anche la lettura di un testo impegnativo? I lettori di narrativa di genere implicitamente riconoscono tutto questo quando ritengono che i loro libri favorite meritino lo stesso tipo di attenzioni e di analisi dettagliate che si è soliti riservare ai classici.
Insomma il libro di qualità è trasversale ai generi e lo si riconosce per la "sua capacità di ricompensare - con piacere - coloro che si adoperano per scoprire le sue ricchezze"
E già che ci siamo, perché non dare un'occhiata anche alla rubrica su NPR My Guilty pleasure, scrittori che parlano di libri che adorano ma che si vergognerebbero se fossero visti a leggerli e confessare i propri piaceri segreti?
Comincio io: ho letto libri di Carolina Invernizio, l'onesta gallina della letteratura popolare, come la definì Gramsci. E non riuscivo a staccarmene.